Perché il mondo si salvi per mezzo di lui
2020-05-07 16:17:33
7 maggio 2020 – Ritrovamento della Santa Croce
Perché il mondo si salvi per mezzo di lui
Nm 21,4-9; Sal 95,10-13; Fil 2,5-11; Gv 3,13-17
1. Carissime sorelle, carissimi fratelli,
il Signore vi dia pace!
Quest’anno la festa del ritrovamento della Santa Croce e le letture che abbiamo ascoltato acquistano un significato particolare a causa della pandemia che sta affliggendo il mondo intero.
Desidero riflettere con voi solo su un aspetto, che nel contesto attuale mi sembra sia l’aspetto fondamentale suggerito dalle letture che abbiamo ascoltato e dalla stessa narrazione del ritrovamento della Vera Croce. Si tratta del passaggio dall’esperienza della guarigione all’esperienza della salvezza. È il passaggio che si fa dal guardare il serpente di bronzo innalzato nel deserto al credere nel Figlio di Dio innalzato sulla croce.
2. Nel racconto tratto dal Libro dei Numeri il popolo eletto, durante il suo cammino nel deserto, proprio per le difficoltà concrete che incontra, a un certo punto comincia a mormorare “contro Dio e contro Mosé”. Dio – sempre secondo il racconto del testo sacro – utilizza una forma di correzione che davanti ai nostri occhi può sembrare molto dura, esagerata, perfino crudele, invia dei serpenti velenosi che mordono la gente e molta gente muore. Questa esperienza porta le persone a riconoscere di aver sbagliato: “Abbiamo peccato!”. E Dio interviene in un modo ancora una volta strano: non elimina i serpenti, ma ordina a Mosé di collocare un serpente di bronzo in cima a un’asta. Chi lo guarda guarisce. Il popolo eletto fa esperienza di una salvezza che è guarigione fisica. Fa esperienza di una salvezza che non è la sparizione dei serpenti velenosi, ma la cura offerta attraverso questo atto di fiducia in Dio, mediata da quello che fa e propone il suo servo Mosè.
3. Nel racconto evangelico è lo stesso Gesù, durante il suo colloquio notturno con Nicodemo, a riprendere la narrazione del Libro dei Numeri e il simbolismo del serpente di bronzo innalzato sull’asta. Lo fa per parlare di sé e per aprire a una dimensione di salvezza più profonda di quella della guarigione fisica, la dimensione della partecipazione alla vita di Dio: “E come Mosè innalzò il serpente nel deserto, così bisogna che sia innalzato il Figlio dell’uomo, perché chiunque crede in lui abbia la vita eterna. Dio infatti ha tanto amato il mondo da dare il suo Figlio unigenito, perché chiunque crede in lui non muoia, ma abbia la vita eterna. Dio non ha mandato il Figlio nel mondo per giudicare il mondo, ma perché il mondo si salvi per mezzo di lui” (Gv 3,14-17).
La guarigione fisica è certamente una bella cosa. Tutti noi la desideriamo quando ci ammaliamo o quando è ammalata una persona che conosciamo e alla quale vogliamo bene. In questo periodo abbiamo pregato e preghiamo tanto per la guarigione degli ammalati da coronavirus. Eppure, la guarigione fisica è solo un posticipare il momento inevitabile della morte. Come nel film di Bergman “Il Settimo Sigillo”, ambientato durante l’epidemia di peste nera del 1300, in cui il protagonista, un cavaliere, fa una partita a scacchi con la morte: sa che sarà sconfitto, ma prova a far durare la partita per poter ritardare la morte e accompagnare in salvo una giovane famiglia.
4. L’esperienza della guarigione è una pallida allusione all’esperienza della salvezza, una debole analogia di ciò che è la salvezza. La salvezza non è spostare in là di qualche ora, o di qualche giorno, o di qualche anno l’esperienza della morte. L’esperienza della salvezza è entrare in una forma di vita piena, che è frutto della relazione personale con Gesù, con colui che ha la vita in sé, la può donare e la può riprendere, la può e la vuole condividere con noi.
Io so che morirò, eppure so che quando ho accolto Gesù nella mia vita, la sua Parola e il suo Spirito, e ho accolto l’invito a vivere nella relazione con Lui, Lui stesso ha deposto dentro di me il seme della vita eterna. La vita eterna è già stata seminata in me proprio grazie al dono che Gesù ha fatto dando la vita per me e attraversando il mistero della morte per amore mio e per portarmi a conoscere il Padre e vivere in Lui.
5. Il battesimo e l’Eucaristia, sgorgati dal suo costato aperto sulla croce, mi trasmettono questa sua vita e questo dono di salvezza. Le Sue parole, che sono Spirito e Vita, mi trasmettono il Suo stesso Spirito “che è Signore e dà la vita”.
Pochi giorni fa l’Ufficio di Letture ci faceva leggere uno stupendo discorso di san Pietro Crisologo, dove a un certo punto questo grande predicatore e padre della Chiesa metteva sulle labbra di Gesù crocifisso queste stesse parole: “Non abbiate timore. Questa croce non è un pungiglione per me, ma per la morte. Questi chiodi non mi procurano tanto dolore, quanto imprimono più profondamente in me l'amore verso di voi. Queste ferite non mi fanno gemere, ma piuttosto introducono voi nel mio intimo. Il mio corpo disteso anziché accrescere la pena, allarga gli spazi del cuore per accogliervi. Il mio sangue non è perduto per me, ma è donato in riscatto per voi” (San Pietro Crisologo, Disc. 108; PL 52, 499-500).
6. Oggi noi vediamo un’umanità afflitta e angosciata, piena di paura perché il contagio virale può portare alla malattia e alla morte. Vediamo un’umanità ansiosa di trovare quanto prima un rimedio a questa pandemia, un qualche vaccino che permetta di guarire. Anche a noi interessa che il vaccino venga scoperto presto, che gli ammalati guariscano, che la pandemia finisca. Come dicevo poco fa abbiamo pregato tanto e stiamo pregando tanto per questo. Ma dovrebbe interessarci ancora di più il poter fare l’esperienza del popolo eletto raccontata dal Libro dei Numeri, dovrebbe cioè interessarci di riuscire a fare esperienza di conversione, di riuscire a vivere anche la pandemia come uno spartiacque tra un prima e un poi, tra un prima fatto di lamentele e ripiegamenti su di sé e un poi fatto di fiducia in Dio e di attenzione solidale ai propri fratelli.
Ancora di più a noi dovrebbe interessare di fare il passaggio dall’esperienza della guarigione puramente fisica all’esperienza della salvezza, che ci introduce nella vita eterna; che ci permette di vivere con fiducia in Dio e con apertura ai fratelli anche durante il tempo della pandemia; che ci permette di guardare anche alla stessa morte come a un’esperienza pasquale e non come alla fine di tutto; che ci permette di sentirci amati da Dio in modo infinito anche quando noi stessi ci troviamo immersi nell’umana sofferenza e perfino quando sentiamo che la morte ci inghiotte.
7. È certamente una cosa buona la guarigione, ma è senza dubbio una cosa migliore la vita eterna, la partecipazione alla vita stessa di Dio. È certamente una cosa desiderabile la guarigione, ma è ancor più desiderabile la salvezza, che sottrae la nostra esistenza al non senso e al nichilismo, all’angoscia e alla paura, e trasforma la morte in passaggio, in transito, in Pasqua.
Al termine della processione, presso l’Edicola del Sepolcro, all’altare della Maddalena e nella Cappella dell’Apparizione alla Vergine Maria canteremo: “O crux, ave, spes única! / Paschále quæ fers gáudium” “Ave o croce, unica speranza, / che porti la gioia pasquale”.
Al termine di questa riflessione permettetemi di condividere con voi una preghiera di san Giovanni Paolo II che si ispira proprio a questo canto:
“O trionfante croce di Cristo,
ispiraci a continuare
il compito di evangelizzazione!
O gloriosa croce di Cristo,
dacci la forza di proclamare
e di vivere il Vangelo della salvezza!
O vittoriosa croce di Cristo,
nostra unica speranza,
guidaci alla gioia
e alla pace della risurrezione
e della vita eterna!
Amen” (Phoenix-USA, 14 settembre 1987).
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