Mona Maron: una cristiana alla guida dell’università di Haifa
2024-06-17 13:01:14
Muna Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Quando tu hai un sogno, e quando sei tenace e insegui i tuoi sogni con perseveranza, allora l’università israeliana ti sta aspettando. Troverai nell'università israeliana le porte aperta. Ma hai bisogno di essere eccellente, di essere serio e di lavorare duramente.
Per la prima volta nella storia di Israele a capo della più importante istituzione educativa della Galilea, c’è una donna. Araba, cristiana maronita, brillante ed empatica: Muna Maron, rettrice eletta dell’Università di Haifa, ci concede una lunga intervista.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Il mio nome è Muna Maron, sono nata nel villaggio di Isfiya, sulla cima del Monte Carmelo. Sono nata in una famiglia cristiano-maronita. Mio padre Louis e mia madre Nabeha non hanno mai finito le scuole elementari perché nel mio villaggio non c'era una scuola. I miei genitori non parlano ebraico. Ma posso dire che tutto ciò che ho raggiunto nella vita l’ho raggiunto grazie alla mia famiglia, grazie ai miei genitori. Perché mi hanno sempre incoraggiato a leggere, hanno incoraggiato anche mia sorella motivandoci sulla necessità di studiare. Era l'unico modo, lo studio, per poterci integrare nella società israeliana. Non eravamo ricchi, non venivamo da una posizione sociale alta, per cui l'unico modo era leggere e studiare. Ed è quello che ho iniziato a fare. Studiare e studiare: non ho mai smesso. Nella nostra vita quotidiana il libro è stato un oggetto importantissimo.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Voglio rivelarti anche un'altra cosa. Quando ero bambina non ero così straordinaria come studentessa. Ogni volta che vado nelle scuole, a fare una conferenza, per esempio, racconto ai ragazzi della mia esperienza e dico loro.” se andate nel mio liceo e chiedete chi è Muna Maron? Sicuramente nel mio liceo nessuno si ricorderà di me, e sapete perché? – dico loro – Perché io non ero brillante. Non ero nemmeno una tipa vivace. I professori si ricordano degli studenti brillanti o di quelli che combinano guai di solito, ecco Io non ero né l'uno né l'altro. Ma è proprio questo che dà ai ragazzi speranza. Significa che non bisogna essere Einstein per avere successo nel mondo accademico o per diventare un professore di neurobiologia. Se tu lavori duramente, se tu hai un sogno, puoi farcela. Questo è il mio messaggio per tutti, specialmente per quei ragazzi che credono di non essere abbastanza. Loro sono abbastanza. Loro possono diventarlo.
Cordiale con tutti, delicata e attenta ai dettagli, Muna Maron è un’interlocutrice affascinante. La sua passione per la ricerca continua nonostante tutti gli impegni amministrativi che caratterizzano il suo ruolo.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
E oggi sono la vicepresidente dell’Università Haifa. Il decano per la ricerca e lo sviluppo. E sono stata eletta rettrice dell'università, che è considerata la posizione più alta del mondo accademico.
Cordiale con tutti, delicata e attenta ai dettagli, Muna Maron è un’interlocutrice affascinante. La sua passione per la ricerca continua nonostante tutti gli impegni amministrativi che caratterizzano il suo ruolo.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Ho iniziato la mia carriera come scienziato. E finirò la mia carriera come scienziato. Non solo disimpegnando un ruolo amministrativo. Sicuramente continuo i miei studi. Io incontrato il mio primo amore quando sono entrata per la prima volta nel laboratorio dell’università di Haifa, nel dipartimento di psicologia, e ho iniziato a studiare il comportamento dei topi. In quello stesso momento mi sono detta, Dio mio, so esattamente cosa voglio fare. Così ho iniziato con la ricerca. Con un master in neuroscienze e poi con il dottorato in Francia, a Parigi. Poi sono tornata qui. E sono diventato un membro della facoltà.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
La mia ricerca si è focalizzata sul tentativo di comprendere il fenomeno della paura a livello cerebrale. Come il nostro cervello reagisce al trauma e inizia poi ad estinguerlo o a dimenticarlo. Quando siamo stressati, nel nostro cervello e nel nostro corpo si attivano involontariamente dei processi di sopravvivenza. Al fine di sopravvivere non abbiamo bisogno di pensare molto in modo razionale, ma il cervello attiva processi, e il corpo risponde in modi, che sfuggono al controllo razionale, perché abbiamo bisogno di sopravvivere. Interessante vedere come questo sistema di attivazione di facoltà di solito dormienti non è un sistema economico per il corpo. Ecco perché, dopo una situazione di pericolo, abbiamo bisogno di tornare ad uno stato di normalità. Allora io ho provato a studiare questa interazione. Tra stato di paura e di non paura. E ho provato a capire cosa succede quando la paura resta più dominante, come per esempio nei pazienti che soffrono di stress post traumatico. In coloro che non riescono ad andare indietro, a tornare ad uno stato di vita normale.
I suoi sudi sul trauma, incredibilmente, sembrano averla preparata a dirigere l’università in periodo storico particolarissimo, che in questa terra è segnato da una violenza senza precedenti.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Noi siamo veramente scossi da quello che è successo durante e dopo il 7 di ottobre. Gli studenti sono tornati nel campus, a dire la verità, soltanto dopo la fine di dicembre. Ma perché potessero tornare a stare tutti insieme abbiamo dovuto prepararli.
Abbiamo avuto dialoghi con ognuno per riportare tutti ad riconoscimento reciproco tra arabi e israeliani. Abbiamo parlato prima con gli arabi da soli, poi con gli ebrei da soli e poi insieme. Per andare oltre la paura, le incomprensioni e prevenire le reazioni che avremmo potuto avere qui nel campus. Abbiamo dovuto ricostruire un rapporto che rischiava di spezzarsi, per poter lavorare insieme e studiare insieme, fare ricerca insieme. Adesso sono ormai passati 5 mesi, e non abbiamo avuto nessun problema. Entrambi i gruppi di studenti, arabi ed ebrei, in fondo vogliono studiare, vogliono finire i loro studi a raggiungere i loro obiettivi accademici. Vogliono terminare un percorso di studi e trovare lavoro oppure continuarlo, con un ulteriore step nella ricerca. Tutti gli studenti hanno gli stessi obiettivi.
Ma certamente da parte nostra c'è stata una vigilanza importante perché non si venissero a creare conflitti: la tensione era grande negli uni e per negli altri. Noi abbiamo contenuto questa tensione portandola a un livello molto razionale e logico. Lavorando molto con il dipartimento di inclusione e diversità che si è prodigato molto e in modo davvero intenso per poter trasformare queste emozioni forti che avvertivamo, da negative in positive.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
La nostra università conta il 45% di studenti arabi e il 55 di studenti ebrei. E. L'università con il più alto grado di diversità in Israele. Penso che stiamo svolgendo una missione importante e anche critica, direi a livello nazionale. In generale, la popolazione araba parte da una situazione economica e sociale più svantaggiata e l'unico modo in cui la popolazione araba può essere integrata nella società israeliana è proprio attraverso l'educazione.
Quello che stiamo facendo qui è creare una nuova classe media in Israele. La sfida più grande per noi come comunità accademica israeliano resta proprio quella di integrare i sottogruppi sociali che compongono il paese.
Eppure, se guardo quello che succede oggi nel mondo sono un po’ sconcertata. Stiamo osservando come la comunità accademica dell’occidente sta boicottando il nostro sistema universitario. L’università aiuta popolazione araba – lo ripeto, un gruppo sociale meno privilegiato – perché è proprio l’università che aiuta gli studenti arabi ad entrare nella società israeliana, nel mercato israeliano, e promuovere non solo se stessi, ma l'intera compagine sociale a cui appartengono, i loro villaggi, le loro comunità, ecc., ecco, aggiungere il boicottaggio dell'Accademia israeliana significa, al quadro delle difficoltà già presenti nel paese tra arabi ed ebrei, significa condannare gli studenti ad un arabi ad una doppia battaglia. Una all'interno di Israele è una nei confronti del mondo che attaccando l’Università israeliana attacca anche loro. Boicottare l’Accademia israeliana in questo momento non serve a nulla, ma anzi, va proprio contro la libertà di espressione, la libertà di pensiero, la libertà di ricerca. Ed è contro tutto ciò che l'Accademia rappresenta. Ecco che abbiamo quindi la sfida non solo di mantenere la società israeliana unita in sé stessa, ma di farlo anche in vista di questi attacchi controproducenti che arrivano dall'Europa e dagli Stati Uniti.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Io credo che la mia posizione come ricercatrice, come vicepresidente e adesso come rettore eletto, sia dare speranza a questi giovani studenti. Specialmente a quelli arabi che vengono da una situazione meno privilegiata, e specialmente durante questi giorni. Guarda, essere stata eletta come rettrice dell'Università dà un Consiglio che è formato soprattutto, al 90%, da ebrei – e hanno letto un'araba – io penso sinceramente che questo è un segno di speranza.
Vedere gli studenti che studiano insieme, ovunque nel campus, e non solo nella nostra università – che certamente ha la più alta percentuale di studenti arabi – ma in tutte le università israeliane, vedere che loro studiano insieme, che fanno, anno ricerca insieme, condividono sogni, sentimenti, questo è un segno di speranza.
Andare in ospedale e vedere il sistema sanitario in Israele e vedere che i dottori arabi e gli infermieri lavorano fianco a fianco con gli ebrei. Hanno posti di responsabilità, diventano capi dipartimento. Non solo a Nazareth, anche nel nord di Israele. Guardate vedere tutto questo è un segno di speranza. Bisogna dirlo con forza.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Io ho solo un modo di pensare, e sicuramente è legato al mio essere cristiana. Quando provo a immaginare il Venerdì Santo e Gesù sulla croce che dice “Padre, perdonali, perché loro non sanno. Quello che fanno” vedo che Lui ci dà un messaggio. Non solo “ama i tuoi nemici”, ma anche “impara a guardare le cose in modo ampio.” È veramente difficile essere open mind in mezzo a queste circostanze che viviamo.
Riguardo a quello che è successo in Israele negli ultimi tempi, e non solo in Israele, ma a Gaza e in tutta la regione, ho sempre detto, e voglio continuare a dirlo, che come cristiani, noi siamo chiamati a comprendere tutta questa tragedia. Siamo chiamati ad avere empatia per entrambe le parti. Lo ripeto, l'ho scritto. Non dobbiamo essere ebrei per guardare con orrore a ciò che è successo il 7 ottobre. Perché quello che è successo è una tragedia, non abbiamo bisogno di essere arabi per essere scandalizzati e affranti da quello che sta succedendo a Gaza. Basta solo essere umani. Penso che la mia visione nasca dall'essere cristiana. Dal sapere che io posso provare i sentimenti di tutti. I sentimenti di entrambe le parti possono e devono essere compresi. Provo empatia e soffro per quello che è successo il 7 ottobre, e soffro anche per quello che succede ogni giorno ai palestinesi. E penso che questa intelligenza anche emotiva, di provare i sentimenti di tutti e accettarli, e legittimarli, è qualcosa che io sono chiamata a portare in università.
In Muna Maron incontriamo una cristiana molto concreta, nella quale traspare tutta la forza e la bellezza della cultura maronita e l’attaccamento a una comunità che la sostiene nella fede e l’aiuta a testimoniare una speranza che vede oltre il presente e le sue ombre.
Mona Maron
Rettrice dell’Università di Haifa
Di solito quando sono all’estero mi chiede “da dove vieni?” e io ovviamente rispondo “da Israele”, allora mi chiedono se sono ebrea e io dico loro “no, sono araba” . Allora mi chiedono “sei musulmana?”, rispondo che sono cristiana, “e che tipo di cristiana?” E dico che sono maronita. In tutto questo ovviamente sono donna. Insomma. Sono parte di una minoranza, dentro una minoranza, dentro una minoranza qui in Terra Santa. Francamente sono molto orgogliosa di essere cristiana maronita. Forse è la parte più importante della mia identità. E adesso ti dico perché. Perché essere maronita significa essere radicata In Terra Santa a partire dal quarto secolo. Ci chiamiamo maroniti per San Maron e il movimento che lui iniziò nel Libano e sulle montagne della Siria. Siamo l'unica chiesa orientale che non si è mai divisa tra cattolici e ortodossi. Noi siamo cattolici, siamo da sempre uniti alla Chiesa di Roma e al Santo Padre. Ogni tanto la gente mi chiede, di cosa sei orgogliosa? Dei tuoi traguardi? E roba del genere. No no, io sono veramente orgogliosa della mia chiesa, la mia parrocchia era originalmente una chiesetta di famiglia. La mia famiglia l'ha costruita pietra dopo pietra. Abbiamo messo insieme i soldi. I miei zii, i miei genitori. E tutti i ricordi che io ho, i più belli, iniziano nella chiesa. Giocavamo lì, abbiamo seguito la costruzione di questo tempio passo a passo. Io sono personalmente molto coinvolta nella vita di questa parrocchia più di quanto io non sia impegnata con qualunque altro tipo di cosa. L'umiltà di tutti in questa chiesa è bellissima. Tutti noi puliamo, ci impegniamo in ogni tipo di attività come se fosse la nostra casa. E ogni mese abbiamo una messa, ogni 22 del mese. Celebriamo il ricordo della guarigione di Nohadi Shadi. Una donna libanese che è stata guarita da san Charbel, in Libano. E lui ha chiesto di celebrare questa messa ogni 22 del mese. In Libano celebrano questa messa speciale nel monastero di Naia, nel monastero di san Maron.
Nella mia parrocchia abbiamo iniziato.5 anni fa. E ogni mese. Arrivano centinaia di persone. A pregare con noi e questo è un segno di speranza, andare nella mia parrocchia e pregare senza avere nessun limite o nessun pregiudizio, ecco, questo è un altro segno di speranza….ed io veramente credo che dopo questo periodo oscuro. Noi vedremo la luce.
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